Fiducia nella cultura e Fiducia nel mercato
In un’epoca dominata dalla narrazione economica, la cultura ha smarrito il suo ruolo cardine come lente di analisi del reale e come motore di sviluppo sociale e progresso. Un tempo pilastro della società, la cultura appare oggi relegata ai margini, schiacciata dalla pressione di logiche di mercato che valorizzano solo ciò che produce profitto immediato. Questo cambiamento ha avuto conseguenze profonde: la svalutazione dei luoghi della cultura, come la scuola, e dei suoi custodi, i maestri, ha generato un vuoto che non solo impoverisce il tessuto sociale, ma mina le fondamenta stesse della convivenza civile.
La Cultura: Da Faro ad ancella del mercato
La cultura è stata storicamente il mezzo attraverso cui l’umanità ha interpretato il mondo, posto domande e immaginato il futuro. Dalla filosofia alla letteratura, dall’arte alla scienza, essa ha fornito le chiavi per comprendere la complessità della realtà. Tuttavia, negli ultimi decenni, la narrazione dominante ha progressivamente spostato il fulcro dall’arricchimento intellettuale alla redditività economica.
Il riduzionismo, tutto ciò che non è immediatamente monetizzabile viene considerato superfluo. La cultura è diventata un lusso, un accessorio decorativo privo di reale utilità. Ciò ha portato a una drammatica perdita di fiducia nella sua capacità di incidere sul reale: la cultura non è più percepita come strumento di emancipazione e trasformazione sociale, ma come una semplice distrazione dal “vero” progresso, misurato solo in termini di crescita economica.
La Scuola e i Maestri: da pilastri sociali a servitori del mercato
La svalutazione della cultura ha colpito in modo particolarmente grave i suoi luoghi di creazione e diffusione: la scuola e i maestri. Una volta considerati fari di conoscenza e punti di riferimento imprescindibili, questi pilastri della società sono oggi sviliti, abbandonati a sé stessi, ingabbiati in un sistema formativo asservito al mercato della omologazione delle menti, funzionali alla creazione di consumatori acritici, personalità liquide, destrutturate, manipolabili, prive di pensiero critico.
La scuola, da laboratorio di idee e culla del pensiero critico, è diventata un mero spazio di addestramento al lavoro, dove il valore degli insegnamenti è misurato in base alla loro utilità economica immediata. Il ruolo del maestro, figura centrale nella trasmissione di valori e saperi, è stato degradato fino a diventare uno ”scarto sociale”. Gli insegnanti, una volta riconosciuti come guide spirituali e intellettuali, sono oggi trattati come meri esecutori di programmi di omologazione delle menti, privati dell’autonomia e del rispetto che il loro ruolo merita.
Il Primato dell’Economia: una Narrazione Pervasiva
Alla radice di questo declino vi è la supremazia di una narrazione economica che ha colonizzato ogni ambito della vita. I discorsi pubblici, le politiche e persino le aspettative individuali sono plasmati da una logica che considera il mercato come unico criterio di valore. In questo contesto, tutto ciò che non produce risultati tangibili in termini economici viene marginalizzato.
Questo paradigma ignora però un fatto fondamentale: la cultura è l’humus in cui crescono non solo il pensiero critico e la creatività, ma anche la capacità di immaginare alternative. Senza cultura, una società perde la sua capacità di pensarsi, restando intrappolata in un presente perpetuo dove l’unico obiettivo è la massimizzazione del profitto.