Complessità e crisi climatica

Il rapporto tra la complessità dei sistemi socio-tecnici e la crisi climatica è oggetto di crescente interesse tra gli studiosi, poiché entrambi i fenomeni, intrecciandosi, delineano scenari di instabilità e vulnerabilità. L’attuale momento storico richiede non solo un cambiamento radicale nei modelli di produzione e consumo per affrontare le sfide climatiche, ma anche una transizione verso modelli di governance capaci di gestire la crescente complessità. Tuttavia, l’aumento della complessità, pur essendo necessario per rispondere a problemi sempre più articolati, può generare inefficienze, vulnerabilità e, in alcuni casi estremi, il collasso del sistema stesso.

Collasso sistemico e complessità

Nel suo libro “The Collapse of Complex Societies” (1988), Joseph Tainter propone una teoria secondo cui le società tendono a collassare quando il livello di complessità raggiunge un punto in cui i costi per mantenerla superano i benefici. Ogni aumento della complessità comporta maggiori risorse necessarie per sostenere l’organizzazione e le infrastrutture del sistema. Quando questi costi diventano insostenibili, il sistema non riesce più a reggere il proprio peso, portando al collasso.

Studi recenti, come quello di Ugo Bardi e colleghi, hanno ampliato questa teoria attraverso modelli biofisici che dimostrano come l’aumento della complessità possa inizialmente migliorare la resilienza del sistema, ma oltre una certa soglia comporti rendimenti decrescenti. A questo punto, il sistema diventa sempre più vulnerabile, favorendo il crollo strutturale. Analogamente, Michele Bellingeri e colleghi hanno evidenziato come l’eterogeneità delle interconnessioni nei sistemi complessi possa ridurre la robustezza, rendendo il sistema suscettibile a fallimenti a cascata.

La crisi climatica come amplificatore della complessità

La crisi climatica rappresenta un ulteriore fattore che aumenta la complessità dei sistemi socio-tecnici. Eventi estremi, migrazioni forzate, degrado delle risorse naturali e aumento delle temperature mettono sotto pressione infrastrutture, istituzioni e modelli economici, richiedendo risposte rapide, coordinate e multilivello. Questa crescente pressione aggrava la vulnerabilità dei sistemi, accelerando il rischio di collasso.

Nonostante ciò, la relazione tra complessità e crisi climatica non è lineare. Da un lato, l’aumento della complessità può rallentare l’adozione di soluzioni innovative, poiché i sistemi più articolati tendono a essere meno flessibili e più lenti nel rispondere ai cambiamenti. Dall’altro, la complessità stessa può agire come un freno evolutivo, mitigando gli effetti destabilizzanti del cambiamento climatico attraverso meccanismi di autoregolazione. Ad esempio, sistemi complessi altamente interconnessi possono distribuire energia e risorse in modo da attenuare gli squilibri, riducendo il rischio di un collasso rapido.

Complessità come stabilizzatore

L’aumento della complessità nei sistemi socio-tecnici potrebbe rappresentare un fattore stabilizzante, capace di mitigare gli effetti negativi dei disturbi, come la crisi climatica. Questo avviene per tre ragioni fondamentali. Innanzitutto, l’inerzia strutturale di tali sistemi, altamente regolamentati e articolati, ne rallenta la capacità di reagire ai cambiamenti, attenuando così l’impatto dei feedback climatici negativi. Inoltre, la distribuzione di risorse ed energia all’interno di sistemi complessi riduce il rischio di interazioni destabilizzanti, limitando la possibilità di cambiamenti improvvisi e incontrollati. Infine, questi sistemi presentano meccanismi interni di autoregolazione, basati su retroazioni e ridistribuzioni, che tendono a prevenire crisi sistemiche improvvise, favorendo il raggiungimento di nuovi equilibri.

Il rapporto tra complessità e crisi climatica evidenzia un delicato equilibrio tra stabilità e vulnerabilità. Supposto che l’aumento della complessità possa temporaneamente rallentare il cambiamento climatico e mitigare i rischi di collasso attraverso meccanismi di autoregolazione, oltre una certa soglia la complessità stessa diviene un fattore destabilizzante.

La governance globale è chiamata ad affrontare il duplice compito di gestire la crescente complessità e di mitigare la crisi climatica, garantendo transizioni socialmente accettabili verso nuovi stati di equilibrio sostenibili.

Tuttavia, la ricerca di tali equilibri non può essere il risultato di decisioni imposte dall’alto, ma deve coinvolgere le comunità locali, le quali dovranno dotarsi di modelli di governance propri, compatibili con i limiti imposti dalla propria cultura. Questo richiede l’avvio di processi di autodeterminazione per la definizione delle traiettorie di sviluppo da perseguire, orientate al benessere collettivo.

Tainter, J. A. (1988). The Collapse of Complex Societies. Cambridge University Press.

Bardi, U., & Dias, L. C. (2018). Toward a General Theory of Societal Collapse: A Biophysical Examination of Tainter’s Model of the Diminishing Returns of Complexity. Sustainability, 10(11), 4047.

Schunck, F., & Gross, T. (2021). A Dynamic Network Model of Societal Complexity and Resilience Inspired by Tainter’s Theory of Collapse. Journal of Artificial Societies and Social Simulation, 24(1), 5.

Bellingeri, M., Bevacqua, D., & Caldarelli, G. (2019). Abrupt Efficiency Collapse in Real-World Complex Weighted Networks: Robustness Decrease with Link Weights Heterogeneity. Scientific Reports, 9(1), 18355.